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Mirror

Mirror Maurizio Donzelli
Mirrors, 2016, mixed media in wooden box, diameter 95x95 cm

Potrei dire che il Mirror è una sorta di tecnica pittorica, che mi sono inventato, e che produce una continua attività di collage nello spettatore, un disegno evoluto che scivola sempre un po’ oltre rispetto al punto di vista scelto per osservarlo.

Di conseguenza il nostro corpo/occhio insegue sempre l’immagine nel tentativo di ricondurla ad una stabilizzazione, però senza mai riuscirvi.

Per chi non ha mai visto “dal vivo” un Mirror diventa difficile comprenderne la vera natura. Il Mirror è un miraggio, forse una fragile magia e come tale si fonda su un meccanismo di seduzione. Ogni Mirror nasce sempre per generare un rapporto esclusivo con il suo osservatore. Una volta che se n’è visto uno dal vivo non si hanno problemi ad accettarne l’immagine riprodotta in fotografia, se ne accetta un sottinteso concetto di parzialità. In genere le fotografie documentative cristallizzano sempre un solo punto di vista, ma in questo modo ogni immagine pone sempre lo spettatore su un piano di apparente condivisione: l’immagine comunica sempre qualche cosa. Più l’immagine coincide con la realtà visibile più compie una forzatura sul piano della propria condividibilità.

Il Mirror nasconde al proprio interno una struttura concettuale molto più radicale, in un certo modo mostra il nucleo centrale di tutto il mio lavoro: un principio d’impossibilità della condivisione dell’immagine e del suo contenuto, a favore di un fattore esclusivo e personale di ciò che si vede e si interpreta.

Karl Jaspers ha detto che non abitiamo le cose ma la nostra visione delle cose.

Bisognerebbe a questo punto chiedersi se noi possiamo permetterci una relazione così radicale con le cose e con il mondo, o se come persone, condividere un’immagine (intesa come frammento del mondo intero) significhi condividere l’illusione di condividere.

Il Mirror va osservato in uno stato di movimento, ma diventa importante ciò che si trattiene nel ricordo: una somma di sensazioni, di sovrapposizioni che si sedimentano via via.

Se lo si osserva traguardandolo (da zero a quaranta gradi circa) è un specchio che riflette ciò che lo circonda. Mentre ci avviciniamo per osservarlo meglio, lo specchio scompare mostrandoci un’immagine sdoppiata e fluttuante. Il disegno del suo interno si modifica mano a mano che noi ci spostiamo fino a ritornare specchio. Tutto lo spazio esterno (proprio come misura fisica) contenente l’osservatore è coinvolto dalla relazione con lo spazio interno alla cornice. Nessuno sta fermo di fronte ad un Mirror, e trovo interessante che nessuno possa dire quale sia il punto di visione più corretto, neppure io.

We can easily say that the Mirror is a pictorial tecnique, invented by me, that produces a continuous activity of “collage” in the public, an advanced drawing that slides always a little bit out of the particular point of view, chosen by the observer.  As a consequence, our body/eye always follows the image, willing to drive it to a stabilization, to a levelling-off. But this never happens.

For the ones who have never seen a Mirror “live”, it becomes really difficult to understand its authentic nature. The Mirror is a mirage, maybe a fragile magic, based on a seduction mechanism. Every Mirror is originated in order to generate an exclusive relationship with his viewer. Once the observer looks at a Mirror live, he won’t have problems to accept its photographic representation, because he will accept an implied concept of partiality. Usually documentary photographies crystallize only one point of view, but in this case every image brings the viewer on a platform of apparent sharing: the image is always transmitting something. More the image dovetails with the sensible reality, less is able to be personally shared.

The Mirror hides an inner radical conceptual structure, that somehow shows  the central unit of my whole work: a principle of impossibility of the shared image and of his content. You can see and interpret something that is exclusively and deeply personal.

Karl Jasper once said that we don’t live things, but our vision of things.

It shoud be better now to ask ourselves if we can dare such a radical relationship with the things and with the world, or if, being persons, the meaning of sharing an image (as a fragment of the whole world) can be the sharing of the illusion of sharing.

The Mirror should be observed on the move, and the important thing is what will be finally retained in the memory: a sum of sensations, of sovrappositions that progressively settle.

If you observe a Mirror looking through its structure (from 0 to 40 degrees) you can see a mirror reflecting the surrounding. But when we come closer, observing it with attention, the mirror disappears, showing us a splitted into two and fluctuating image. The drawing inside changes following our movements, and progressively the mirror reappears again.

The whole space outside (as a real phisical measure), that includes the observer, is involved in the relationship with space inside the frame. Noone can stay still in front of the Mirror, and in my opinion the really interesting thing is that nobody can say which the correct point of view is, neither I.

(Translation by Chloé Dall’Olio)

Mirror Maurizio Donzelli
Mirror, 2018, mixed media in wooden box, 49,30x37,7x8 cm
Mirror Maurizio Donzelli
Mirrors, 2017, mixed media in wooden box
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror, 2019, mixed media in wooden box, 106x98x8 cm
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror, 2019, mixed media in wooden box, 42x32,7x7,5 cm
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror, 2018, mixed media in wooden box, 202x97x9 cm
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror #3217 and #3317, 2017, mixed media in wooden box, 55x51x7,5 cm each
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror #6316 and #1617, 2016-17, mixed media in wooden box
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror, 2019, mixed media in wooden box, 63x43x7,5 cm
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror, 2017, mixed media in wooden box, 104x97x7,5 cm
Mirror Maurizio Donzelli
Mirror #2618, 2018, mixed media in wooden box, 100x74,3 cm each