Potrei dire che il Mirror è una sorta di tecnica pittorica, che mi sono inventato, e che produce una continua attività di collage nello spettatore, un disegno evoluto che scivola sempre un po’ oltre rispetto al punto di vista scelto per osservarlo.
Di conseguenza il nostro corpo/occhio insegue sempre l’immagine nel tentativo di ricondurla ad una stabilizzazione, però senza mai riuscirvi.
Per chi non ha mai visto “dal vivo” un Mirror diventa difficile comprenderne la vera natura. Il Mirror è un miraggio, forse una fragile magia e come tale si fonda su un meccanismo di seduzione. Ogni Mirror nasce sempre per generare un rapporto esclusivo con il suo osservatore. Una volta che se n’è visto uno dal vivo non si hanno problemi ad accettarne l’immagine riprodotta in fotografia, se ne accetta un sottinteso concetto di parzialità. In genere le fotografie documentative cristallizzano sempre un solo punto di vista, ma in questo modo ogni immagine pone sempre lo spettatore su un piano di apparente condivisione: l’immagine comunica sempre qualche cosa. Più l’immagine coincide con la realtà visibile più compie una forzatura sul piano della propria condividibilità.
Il Mirror nasconde al proprio interno una struttura concettuale molto più radicale, in un certo modo mostra il nucleo centrale di tutto il mio lavoro: un principio d’impossibilità della condivisione dell’immagine e del suo contenuto, a favore di un fattore esclusivo e personale di ciò che si vede e si interpreta.
Karl Jaspers ha detto che non abitiamo le cose ma la nostra visione delle cose.
Bisognerebbe a questo punto chiedersi se noi possiamo permetterci una relazione così radicale con le cose e con il mondo, o se come persone, condividere un’immagine (intesa come frammento del mondo intero) significhi condividere l’illusione di condividere.
Il Mirror va osservato in uno stato di movimento, ma diventa importante ciò che si trattiene nel ricordo: una somma di sensazioni, di sovrapposizioni che si sedimentano via via.
Se lo si osserva traguardandolo (da zero a quaranta gradi circa) è un specchio che riflette ciò che lo circonda. Mentre ci avviciniamo per osservarlo meglio, lo specchio scompare mostrandoci un’immagine sdoppiata e fluttuante. Il disegno del suo interno si modifica mano a mano che noi ci spostiamo fino a ritornare specchio. Tutto lo spazio esterno (proprio come misura fisica) contenente l’osservatore è coinvolto dalla relazione con lo spazio interno alla cornice. Nessuno sta fermo di fronte ad un Mirror, e trovo interessante che nessuno possa dire quale sia il punto di visione più corretto, neppure io.